Soltanto dopo aver terminato il montaggio del documentario dal titolo Sciamane. Donne che si risvegliano, mi sono presa del tempo per studiare alcuni libri sull’argomento “sciamanesimo”, fino a quando ho sentito il bisogno irrefrenabile di scrivere e ho realizzato, in poco tempo, questo libro. Non riuscivo a fermarmi e non potevo pensare ad altro: mi sentivo come un vaso colmo fino all’orlo che aveva necessità di svuotarsi del suo contenuto. È possibile che le informazioni, le riflessioni e le intuizioni che ho trasferito in queste pagine fossero presenti in me da molto tempo. È possibile anche che fossero lì da qualche vita precedente. Non escludo che il lavoro sulla fondazione del Cerchio Planetario delle Donne abbia risvegliato in me memorie antiche che aspettavano soltanto di essere richiamate. Il risveglio è il tema fondamentale del mio documentario e anche del mio libro. Nel primo, ho raccolto le testimonianze di diciotto donne che si sono risvegliate alla loro natura sciamanica; nel secondo, ho cercato di spiegare cos’è l’attitudine sciamanica, perché essa sia dormiente in tutte le donne e come possano risvegliarla.
“Le donne sono per natura sciamane”, rivela uno sciamano siberiano a un famoso antropologo russo. È vero. Essere sciamani significa muoversi in stati di coscienza non ordinari, vuol dire vivere e perce- pire più dimensioni. In questo percorso le donne sono facilitate dalla loro natura ciclica. Ogni mese, grazie alle mestruazioni – che sono peraltro in stretto collegamento con le fasi lunari – sperimentano quattro momenti diversi, quattro energie che si alternano e si ripetono ciclicamente, anno dopo anno. Le donne “dormienti” non “ascoltano” il proprio ciclo: lo nascondono, lo disprezzano, lo ignorano e a causa di esso si sentono sporche, menomate, inferiori agli uomini. Quest’allontanamento della donna dalla propria natura – e, con essa, dalla natura tutta – è il prodotto della cultura patriarcale degli ultimi cinquemila anni. Gli archeologi e gli antropologi moderni, come la lituana Marija Gimbutas, hanno trovato innumerevoli reperti che dimostrano come da 25.000 fino a 5.000 anni fa esistesse una so- cietà pacifica, matriarcale e matrilineare, che venerava una Dea. Alle donne era permesso esprimere se stesse, occupavano posizioni di rilievo nella società e avevano la completa gestione del proprio corpo e della propria sessualità. Nessun ruolo le schiacciava e le confinava in alienanti gabbie sociali: non esisteva il concetto di coppia, né il matrimonio, né il possesso dell’altro, né, di conseguenza, l’adulterio e le relative penalizzazioni (quelle che nella nostra società occidentale vedono spesso solo le donne e mai gli uomini pagare con la vita, con una brutalità e una follia legalizzate dagli uomini stessi). I figli nascevano spontaneamente e tutta la comunità si faceva carico della loro educazione. In particolare, uomini e donne veneravano la Dea, una sorta di utero primordiale da cui tutto si è originato e che in ogni singola donna s’incarna. Si riteneva che la donna fosse il legame tra il microcosmo e il macrocosmo, si rispettava e si onorava come espressione della Dea.
Cos’è successo? Come si è potuti arrivare a una società in cui gli uomini dettano legge, una legge fatta di sessismo, sopraffazione e guerra?
Ci hanno fatto credere che l’unica responsabile della “caduta” sia stata una donna, Eva, che ha osato cogliere il frutto proibito della Conoscenza. Dalle più recenti ricerche emerge invece che i responsabili del cambio di paradigma sono stati proprio quegli uomini che hanno inventato la storia di Adamo ed Eva! Circa 7.000 anni fa, a più ondate, sono arrivati nel Mediterraneo gli Indoeuropei, popoli che vivevano nell’Asia settentrionale e che veneravano un Dio maschio, conquistatore e guerriero. Per circa duemila anni la religione della Dea ha tentato di resistere e di convivere a fianco del nuovo pantheon maschile. Ma i capi indeuropei hanno finito con imporre il proprio credo, hanno creato leggi che limitassero la libertà delle donne, con l’obiettivo principale di garantirsi il possesso, attraverso di esse, dei loro figli, dei loro beni materiali e delle loro eredità. Hanno così introdotto la monogamia e il matrimonio e hanno relegato la donna a occuparsi solo della famiglia. Sono nate le religioni mono- teiste dell’Ebraismo e in seguito dell’Islamismo e del Cristianesimo, che hanno operato una mirata demonizzazione della donna. Il culto della Dea ha provato a resistere di nascosto ma con grosse difficoltà, soprattutto nelle epoche di maggiore intolleranza della Chiesa, come dimostra il numero agghiacciante di donne uccise in Europa nel Medioevo durante la “caccia alle streghe”: nove milioni.
Anche ai giorni nostri si rilevano cifre preoccupanti relative alle ingiustizie perpetrate contro le donne: nel mondo, centoventicinque milioni di donne e bambine, la maggior parte prima dei cinque anni, subisce una mutilazione genitale (fonte: Unicef ); in India ogni anno “si perdono” un milione di bambine, la maggior parte delle quali vengono violentate e poi uccise e buttate via come fossero oggetti rotti (fonte: Unicef); una donna su tre nel mondo è vittima di violenza fisica e/o sessuale da parte di partner o sconosciuti (fonte: Oms); in molte nazioni musulmane alle donne è vietato vestirsi come vogliono, studiare, avere la patente, cantare, persino andare in bicicletta. È indubbio che siamo di fronte a una vera e propria emergenza sociale. Credo che si debba ripartire dalla cultura innanzitutto delle donne, affinché non siano vittime silenziose o complici passive di quanto sta succedendo. Questo mio lavoro si colloca in tale direzione, e spero sia letto anche dagli uomini.
Il libro termina con tre interviste a tre donne in apparenza molto diverse una dall’altra: una sciamana (Devana), un’antropologa (Morena Luciani Russo) e un’attivista (Lorella Zanardo). Le accomunano invece due cose importanti: la connessione con un’idea moderna di femminile, o forse con quella più antica, quella della Dea; il quotidiano e instancabile lavoro per il risveglio delle donne.