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21 Luglio 2019

Maria Sklodowska e l’emancipazione scientifica delle donne

“Non puoi sperare di costruire un mondo migliore senza rendere migliori le persone. Con questo obiettivo ognuno di noi deve adoperarsi per il proprio miglioramento”.

In questi giorni ho letto la biografia di una grande donna: Maria Sklodowska, meglio conosciuta come Marie Curie. E’ stata la prima donna al mondo a ricevere un premio Nobel insieme al marito Pierre Curie in Fisica (per aver scoperto i nuovi elementi radio e Polonio), e la prima persona al mondo a riceverne un secondo, questa volta da sola, in un’altra disciplina, la chimica. Con orgoglio e perseveranza, noncurante di tutti i limiti posti nello studio e nella ricerca alle donne dell’epoca, fu anche una delle prime donne a conseguire un dottorato (a Parigi, dove dovette trasferirsi giovanissima perché le donne polacche non potevano neanche frequentare l’università) e fu la prima donna ad accedere a un laboratorio e a tenere lezioni all’Università della Sorbona di Parigi. La sua determinazione e la sua passione per la scienza influenzarono anche la figlia Irene, che ottenne il suo premio Nobel per la chimica cosicché Maria, per la terza volta nella sua vita, poté presentarsi con orgoglio davanti all’Accademy svedese.

Eppure la vita di Maria è stata piena di difficoltà: sacrifici in Polonia per mettere da parte i soldi necessari a frequentare l’università a Parigi; grosse difficoltà nel conciliare la famiglia, con due figlie piccole, e il lavoro a tempo pieno in laboratorio; i postumi fisici dovuti ad anni di lavoro maneggiando elementi radioattivi senza prendere alcuna precauzione; la morte dell’adorato marito in un incidente stradale; e poi lo scandalo e la feroce diffamazione per la sua relazione con un uomo sposato. Ma la sua bussola è sempre stata la scienza e il suo obiettivo di contribuire al miglioramento del mondo: dopo pochi mesi dalla morte del marito, pallidissima nel suo vestito nero entrò nell’aula della Sorbona dove insegnava Pierre e con voce calma riprese la lezione esattamente da dove lui l’aveva lasciata; quando la invitarono a non presentarsi alla consegna del secondo premio Nobel a causa della sua “disdicevole relazione sentimentale” rispose che non vi era alcun legame tra il suo lavoro scientifico e la sua vita privata e si presentò senza batter ciglio pronunciando un discorso che sottolineava l’importanza del suo lavoro; allo scoppio della prima guerra mondiale, in una valigia foderata con venti chili di piombo mise il prezioso grammo di radio del suo laboratorio di ricerca, prese un treno per Bordeaux e lo depositò in una cassetta di sicurezza per poi tornare a Parigi e farsi nominare d’urgenza direttrice del Servizio di Radiologia della Croce Rossa per il Ministero della Guerra e realizzare il suo progetto di andare al fronte con ambulanze con a bordo i macchinari per sottoporre ai raggi X i feriti di guerra, localizzare con precisione pallottole e schegge e poterli operare più velocemente; quando la Francia, dopo la guerra, non sovvenzionò adeguatamente il suo laboratorio, non esitò a chiedere i soldi all’estero, recandosi più volte negli USA, ormai in là con gli anni e malata, e ricevendo i finanziamenti persino dell’allora presidente Warren G. Harding. Scrisse su questo tema parole attuali: “La nostra società” nella quale regna un volgare desiderio di lusso e ricchezza, non comprende il valore della scienza, né il fatto che questa fa parte del suo patrimonio spirituale più prezioso, né che è la base di tutti i progressi che rendono più facile la vita e alleviano le sofferenze. Al giorno d’oggi né le pubbliche amministrazioni né la generosità di qualche individuo danno agli scienziati il sostengo e i mezzi necessari per svolgere un lavoro efficace”.