Tutti parlano del Coronavirus, c’è chi ha paura, c’è chi è scettico e chi grida al complotto da parte delle lobby di potere… Non voglio discutere questo punto, ciascuno la prenda come vuole. Credo invece che l’emergenza Coronavirus ci porti alcuni benefici.
Temi come la malattia e la morte costituiscono una livella sociale che accomuna tutti. Tutti, e soprattutto noi confinati “qua al nord” in questa bolla di sospensione di ogni attività, ci troviamo costretti a riflettere sulla qualità del tempo che stiamo vivendo, su chi siamo, cosa facciamo e cosa magari non funziona nella nostra vita. Azzerare tutto, spesso può essere utile per ripartire con maggiore consapevolezza.
Per la prima volta, inoltre, le persone si trovano costrette a riscoprire il senso etico della vita, sono obbligate a ricordarsi che non possono vivere per sempre in una condizione di sfrenato individualismo ma che esiste una comunità alla quale sono indissolubilmente legate, e, nella rete di legami sociali, il benessere o il malessere di un singolo cittadino è inevitabilmente collegato a quello degli altri. Perché non siamo isole e non possiamo vivere in mezzo agli altri usandoli solo per condividere momenti di piacere, senza prenderci mai la responsabilità di valutare le conseguenze delle nostre azioni anche su di loro.
Infine, la chiusura di esercizi commerciali e, in molti casi, di aziende, per la prima volta obbliga imprenditori ed esercenti a porsi nei panni dei lavoratori e ad anteporre le logiche della salute a quelle del profitto.
Allora, cari complottisti, anche se tutto questo fosse un’esagerazione mediatica, e fossimo di fronte solo a una specie d’influenza più contagiosa delle altre, questa paura catartica, quest’occasione di riflessione sulle nostre vite, sui mostri generati dalla modernità e dal capitalismo, segna una grande e importante differenza.
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giovanna
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