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Soggetto

Il film Caterina Bueno – la voce della Toscana rappresenta un viaggio per conoscere la vita e la preziosa attività di ricercatrice di Caterina Bueno, la più importante cantante folk toscana, ma costituisce anche un’occasione per riflettere sul tema della memoria e delle radici culturali. Nata a Fiesole nel 1943 da un pittore spagnolo (Xavier Bueno) e da una scrittrice svizzera (Julia Chamorel), la Bueno si è sempre mostrata estremamente curiosa a proposito delle differenze dialettali del linguaggio toscano e, dopo aver imparato a suonare da autodidatta la chitarra, ha cominciato negli anni Sessanta a girare in lungo e in largo l’intera Toscana, con l’obiettivo di registrare e riprodurre i canti popolari locali.
Il suo lavoro ha conosciuto una certa notorietà negli anni Sessanta e Settanta, quando ha partecipato per tre anni consecutivi a uno spettacolo con la regia di Dario Fo (Ci ragiono e ci canto), ha condotto alcune trasmissioni radiofoniche e televisive per la Rai e ha tenuto numerosi concerti anche all’estero. 
Ma lo scopo della Bueno non è mai stato quello di raggiungere la fama o il successo, bensì quello di conoscere il più possibile l’umanità, attraverso quel modo di esprimersi e raccontarsi così spontaneo e antico come il canto popolare di tradizione orale.
Il suo repertorio si snoda tra canti di osteria, canti sociali e politici, stornelli di emigrazione, lamenti carcerari, filastrocche, ninne nanne, ballate ironiche e contrasti. In molti casi si tratta di canzoni che toccano temi ancora molto attuali: le fatiche del lavoro, l’amore, la morte, le ingiustizie e i soprusi, ma anche la voglia di lasciarsi alle spalle i problemi di tutti i giorni.
Il film ripercorre le tappe fondamentali del viaggio della Bueno,- tra osterie, case del popolo e cascine, in mezzo alle campagne e alle montagne toscane – grazie ad una cinquecento bianca come la sua, a bordo della quale si trova una donna col cappello che evoca idealmente la cantante.
 Il racconto principale è affidato all’attore toscano David Riondino, che, col suo accento toscano e i suoi modi spontanei, ci mostra come la Bueno si avvicinasse a quei contadini e a quelle persone del popolo che sarebbero diventati, poi, i suoi “informatori”. 
Le interviste ai numerosi musicisti con i quali la Bueno ha suonato e agli esperti etnomusicologi ci permettono di capire meglio il percorso artistico della cantante. 
Dario Fo, che con la Bueno ha lavorato negli anni Sessanta e che è stato suo grande amico per tutta la vita, ci spiega l’unicità della sua ricerca e della sua personalità.
Il film oltre che il linguaggio visivo utilizza quello musicale, facendo ascoltare le più importanti canzoni della Bueno.
 Queste sono trattate in modo vario. Per alcuni pezzi si utilizzano le immagini di repertorio dei concerti della cantante; altri pezzi vengono cantati in modo spontaneo da alcuni anziani componenti del Coro popolare degli Etruschi – che ha inciso un disco con la Bueno negli anni Settanta -, nei luoghi in cui ci porta Giovanni Bartolomei. Altri pezzi vengono cantati da artisti famosi che rendono omaggio alla cantante o che con lei avevano avuto delle collaborazioni, – come Piero Pelù, Nada, Gianna Nannini, David Riondino, Simone Cristicchi e Francesco De Gregori.
 Ma le canzoni non vengono mai trattate in modo convenzionale: a un attacco della Bueno segue la continuazione di uno degli artisti citati o, in altri casi, parte di una canzone è accompagnata da una interpretazione filmica della stessa, attraverso delle animazioni che hanno uno stile tra il “dadaismo” e il “realismo magico” di Xavier Bueno. 
L’animazione finale, con la Bueno che entra nelle radici di un albero e le percorre fino a scoprire che s’intrecciano con le radici degli alberi di tutto il mondo, suggerisce l’universalità del suo lavoro e intende restituire lo sguardo poetico con cui l’artista guardava il mondo.