Mentre nella maggior parte delle nazioni europee si va incontro a un secondo lockdown, continua a far discutere il caso della Svezia, l’unica nazione europea che non è ricorsa a una chiusura totale durante la prima ondata di Coronavirus e che sembra non voler cedere neanche adesso, nonostante l’aumento dei contagi. Nelle ultime settimane i giornali italiani hanno parlato molto della Svezia, descrivendola come una nazione pentita di aver adottato misure blande nei confronti della pandemia.
Gli italiani che vivono nel paese scandinavo, invece, ci raccontano il modello svedese con una certa ammirazione. Hanno destato ad esempio scalpore i video della psichiatra Martina D’Orazio, che vive in Svezia da 10 anni, e che sottolinea come questo stato abbia adottato sin dall’inizio un atteggiamento in netta controtendenza rispetto al resto del mondo, rifiutando non solo il lockdown ma anche qualsiasi forma di restringimento delle libertà collettive. Anche il giornalista Riccardo Palleschi, che gestisce il portale italianiemigrati.it, ha mostrato un tale entusiasmo nei confronti del modello svedese da aprire un gruppo facebook intitolato “Italiani in Svezia per la libertà!” con un progetto piuttosto originale: organizzare una manifestazione il 12 dicembre a Stoccolma per mettere sotto pressione l’ambasciatore italiano e “sensibilizzare l’opinione pubblica europea sulla gestione selvaggia ed incostituzionale della pandemenza in Italia”.
Come dico nel mio libro Diario di un lockdown, i media italiani ci riportano spesso verità manipolate per l’interesse di qualcuno e per i giornalisti indipendenti è fondamentale andare alla fonte. Per questo motivo ho intervistato Valerio Romano, un ragazzo italiano che vive a Stoccolma.
Quella che segue è solo la prima di una serie d’interviste fatte a italiani all’estero sul tema della pandemia; l’obiettivo è stimolare i lettori ad ampliare il punto di vista su quello che sta succedendo per esercitare una cittadinanza il più possibile consapevole e attiva.
Ciao, Valerio, dimmi qualcosa di te, che lavoro fai, da quanto tempo vivi in Svezia e in quale città?
Ho 23 anni, vivo a Stoccolma da due anni. Lavoro in una multinazionale di servizi e-commerce; ho cominciato questo lavoro due mesi prima dello scoppio della pandemia.
Facciamo un passo indietro: quando avete scoperto che il virus era arrivato in Svezia?
Qua abbiamo cominciato a parlare diffusamente del virus all’inizio di marzo, due o tre settimane dopo lo scoppio della pandemia in Italia. Io ero già a conoscenza dell’esistenza di questo virus perché la mia fidanzata era una ragazza giapponese e, come tutti sappiamo, in Asia il virus era arrivato prima. In realtà il primo malato di Coronavirus in Svezia era stato scoperto a Stoccolma già a fine gennaio, ma per un mese non si è registrato nessun altro caso. Si trattava di una donna proveniente da Wuhan che poi, ovviamente, si è messa in quarantena. Le autorità svedesi hanno fatto un’operazione di contact tracing, hanno cercato cioè di rintracciare le persone con le quali questa donna era venuta in contatto per verificare se erano state infettate.
In seguito si sono registrati i casi positivi d’italiani tornati in Svezia dalle zone italiane a rischio e la procedura era sempre la stessa: quarantena volontaria e contact tracing. Anche il vicepresidente della mia azienda in quel periodo ha ricevuto una mail in cui gli veniva comunicato che, poiché aveva viaggiato su un volo da Parigi a Stoccolma sul quale c’era un persona con il virus, doveva isolarsi. Poiché lo incontravo ogni giorno in ufficio, anche io ho fatto la stessa cosa. All’inizio della pandemia c’erano pochissimi casi e sembrava che si potessero controllare tutto in maniera molto efficace.
Per isolamento tu intendi una quarantena volontaria di 14 giorni?
Esattamente, ma preciso ancora che tutto era in forma volontaria. Che io sappia nessuno è stato mai forzato a fare qualcosa. Questo anche perché nella Costituzione svedese c’è, tra le libertà inviolabili, la libertà di movimento dei cittadini. Per intervenire su questo aspetto della legge sarebbero necessari degli step in parlamento lunghi e complessi. Il governo ha lanciato sempre solo delle forti raccomandazioni che non avevano valore legale ma che venivano prese molto seriamente dalla popolazione.
A marzo e aprile quali misure restrittive sono state prese?
Non ci sono state mai misure obbligatorie, ma solo delle raccomandazioni come lavarsi le mani, stare lontani fisicamente, evitare viaggi non essenziali, lavorare il più possibile da casa. Agli anziani è stato detto di rimanere a casa ed evitare un contatto stretto con gli altri. Sono state tenute aperte le scuole per gli studenti al di sotto dei 16 anni e non sono stati chiusi i bar, i ristoranti e le palestre, pur dovendo garantire alcune misure di distanziamento fisico. Sono stati banditi gli assembramenti, inizialmente quelli al di sopra delle 500 persone e poi le indicazioni sono scese gradualmente, fino a 50 persone. Per questo motivo poi sono stati chiusi anche cinema, teatri e musei.
C’è stata anche una forte collaborazione del settore privato che volontariamente ha diffuso delle linee guida che permettessero di limitare il più possibile il contagio. L’università, ad esempio, molto in fretta ha dato la possibilità di seguire le lezioni on line. Sottolineo l’aspetto volontario di queste restrizioni.
Gli svedesi hanno mai creduto nella teoria dell’immunità di gregge?
Capisco che considerando l’atteggiamento che il governo ha avuto finora nei confronti del virus sembra davvero che la Svezia abbia portato avanti la teoria dell’immunità di gregge. Numerose volte il governo ha detto chiaramente che l’obiettivo non è questo. Sinceramente non so se stanno cercando di ottenere davvero l’immunità di gregge, pur affermando il contrario, o se abbiano invece un’altra strategia. Di sicuro non hanno spinto gli svedesi a infettarsi per immunizzarsi, sulla metropolitana ad esempio c’è sempre la voce registrata che dice di fare attenzione e di stare a distanza. C’è stata la volontà di danneggiare il meno possibile l’economia. Ma ci sono state grosse difficoltà nel proteggere le persone più deboli, come nel caso delle case di cura. La mortalità più elevata si è riscontrata in queste strutture dove spesso hanno portato il virus proprio gli infermieri e gli operatori sanitari che dovevano prendersene cura. Solo al primo aprile 2020 risale il divieto generale di visita alle case di cura e solo nel mese di maggio sono state introdotte misure aggiuntive come un maggiore training per i dipendenti di queste strutture, una serie di raccomandazioni per migliorare l’igiene e uno stanziamento di circa 500 milioni di euro di euro per mettere in pratica soluzioni che rendessero questi ambienti più sicuri.
Tuttavia Tegnell questa estate ha affermato pubblicamente che se potesse tornare indietro cambierebbe la sua strategia nei confronti delle case di cura e prenderebbe molto prima le misure prese solo a maggio.
Cosa dicono i vostri media e le autorità sull’origine del virus? Credono alla teoria del mercato di Wuhan e del passaggio dal pipistrello all’uomo?
Ci credono. Non ho mai sentito mettere in discussione questo fatto.
E’ vero che la Svezia è l’unico paese della Comunità Europea e tra i pochi al mondo che non solo non ha mai imposto il lockdown ma non ha mai imposto nemmeno l’uso o delle mascherine?
E’ assolutamente vero. Le mascherine in Svezia le porta il 5% della popolazione, anche adesso che il problema sembra più serio. Negli aeroporti invece tutti le portano, altrimenti non si può salire su un aereo. In città le portano solo gli stranieri.
Per quale motivo gli svedesi non portano le mascherine? I virologi ritengono che non ce ne sia bisogno? C’è un dibattito sulla questione?
Tegnell e gli altri virologi non hanno chiesto di non usarle, ma sostengono che se le usassimo tutti si creerebbe un falso senso di sicurezza e abbasseremmo il livello di attenzione e responsabilità individuale nei confronti delle altre precauzioni.
In quale situazione vi trovate adesso?
Adesso le misure sembrano più stringenti di quelle della prima ondata. Ci è stato raccomandato di non utilizzare i mezzi pubblici se non è necessario e di evitare se possibile ambienti come centri commerciali, negozi, piscine, palestre, musei, biblioteche. E’ stato messo un divieto, quello dell’incontro di più di otto persone nei luoghi pubblici. Inoltre i bar, i pub e i ristoranti non possono vendere alcolici dopo le 22:00.
Se uno in Svezia ha dei sintomi come febbre o tosse fa da voi? Si mette in auto quarantena fiduciaria? C’è la possibilità di fare un tampone veloce?
In generale uno dovrebbe stare a casa con qualunque forma si sintomo. Poi si può fare il tampone veloce per il Covid o il test per gli anticorpi ordinandoli semplicemente on line. Io ho fatto due volte il tampone. T’iscrivi a un sito, ti arriva il tampone in due giorni, lo spedisci e il risultato ti arriva il giorno dopo. La possibilità di smart working è molto diffusa, tutte le aziende ne danno la possibilità.
Secondo te la pandemia che impatto ha avuto sugli svedesi dal punto di vista psicologico? Diventeranno più chiusi, freddi e diffidenti verso gli altri?
In Svezia si cerca di continuare il più possibile la vita come prima, ma quando s’incontra qualcuno, se prima lo avremmo abbracciato, adesso questo non avviene quasi più. Credo che stia accadendo la stessa cosa anche in Italia.
Tu che abitudini hai nei confronti della pandemia, ti comporti da svedese o da italiano?
Io ho sperimentato entrambe le situazioni. Durante la prima ondata, poiché vivevo con una persona appartenente a una categoria a rischio, ho fatto il lockdown totale da marzo fino a giugno. Durante l’estate ho fatto un lockdown parziale, incontrando alcuni amici di cui ero sicuro che non fossero infetti.
Adesso vivo più da svedese, vado in ufficio tutti i giorni e cerco di non limitare troppo la mia vita. Prima sapevo che era un virus nuovo e che non c’erano ancora cure sicure, adesso sono più tranquillo, so che se dovessi ammalarmi ci sono delle possibili cure che abbassano drasticamente il rischio di mortalità. Dal punto di vista psicologico è molto più facile vivere uscendo tutti i giorni, incontrando persone e mantenendo un minimo di relazione con gli altri, anche con il rischio del Covid.
Quanti sono attualmente gli svedesi contagiati? Circolano numeri chiari sui contagi?
Questa settimana abbiamo avuto il 60% in più di ricoveri rispetto alla settimana precedente.
In generale anche i numeri dei contagiati sembrano aumentare esponenzialmente. Tuttavia all’inizio si facevano pochissimi tamponi e quindi i numeri sui contagiati che circolavano erano relativi a un esiguo campione della popolazione. Oggi si fanno molti più test e inevitabilmente il numero dei contagiati è aumentato, ma questo non vuol dire che davvero ci sia stato un incremento così grande delle persone infette. Inoltre, i numeri dei tamponi che fanno è molto diverso ogni giorno e quindi assistiamo a grafici con curve quotidiane che salgono e scendono a zig zag. Non siamo soddisfatti della raccolta dei dati che viene fatta in Svezia. In generale, ti posso dire che a Stoccolma il 20% delle persone a cui viene fatto il tampone è positivo.
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giovanna
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